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Covid e residenze sanitarie: numeri e cause del contagio

Il forte legame tra la pandemia e la sua diffusione nelle residenze per anziani impone riflessioni sulle condizioni strutturali del sistema sul quale esse si basano, condizionato da una situazione finanziaria precaria

Nel contesto dell’epidemia da Covid che ha colpito così drammaticamente il nostro Paese, le strutture residenziali per anziani sono diventate tristemente note per essere state tra i principali focolai di concentrazione e diffusione del virus. Questo è sicuramente avvenuto per via del fatto che in queste strutture si concentra un elevato numero di persone particolarmente vulnerabili al virus: oltre l’80% dei decessi da Covid, infatti, si concentra nella fascia di età superiore ai 70 anni. Queste strutture dovrebbero offrire una condizione di particolare tutela sanitaria, oltre a misure preventive finalizzate a ridurre il contagio. Tuttavia, il virus ha mietuto vittime non solo tra gli anziani fragili, ma anche tra medici, infermieri e operatori socio-sanitari. I dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità mostrano come su 1.634 Residenze Sanitarie Assistenziali campionate a livello nazionale il tasso di mortalità nei mesi di febbraio e marzo sia stato del 9.6%, ma con grandi differenze dal punto di vista regionale: si va dal 5% in Emilia Romagna al 6.4% in Veneto, fino addirittura al 19.2% in Lombardia. Da questi dati va detratto il tasso di mortalità raggiunto nello stesso periodo di tempo negli anni precedenti. La stessa indagine segnala che l’86% delle strutture indagate ha riportato “difficoltà nel reperimento di Dispositivi di Protezione Individuale”, il 36% ha riferito “difficoltà per l’assenza di personale sanitario a causa di malattia”, e il 27% ha dichiarato di “avere difficoltà nell’isolamento dei residenti affetti da Covid-19”.

Con l’aiuto dei dati forniti dal Politecnico di Milano, cerchiamo ora di capire in quali condizioni organizzative e finanziarie le strutture residenziali operano, e quali tendenze hanno prevalso negli ultimi anni. 

 

Nel nostro Paese, è piuttosto difficile raccogliere dati riguardanti le strutture residenziali per anziani; L’unica fonte che restituisce un quadro generale del fenomeno è l’indagine ISTAT sui presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari nel nostro paese, che peraltro fornisce dati relativi al 2016. L’assenza di dati e informazioni aggiornate dimostra la scarsa attenzione da parte delle Regioni e dello Stato verso queste strutture, attenzione che d’ora in poi dovrà necessariamente essere più elevata. Nel 2016 le strutture residenziali in Italia sono 12.500, con 285.000 ricoverati over65. L’offerta di queste strutture è fortemente differenziata geograficamente: in Lombardia e nelle regioni del Nord-Est la copertura è del 3%, nelle regioni del Centro è dell’1,5%, nelle Isole del 1,2% e solo dello 0,9% al Sud.

Esiste complessivamente una grande differenza con gli altri Paesi per quanto riguarda il tasso di copertura, che misura la quota di anziani over 65 anni ricoverati in queste residenze: il tasso italiano è infatti la metà di quello della Spagna, un terzo di quello tedesco e quasi un quarto rispetto a Svezia e Olanda. Ci superano anche i paesi dell’Estremo Oriente e gli USA. 

Per quanto riguarda l’età degli ospiti ricoverati, il 75% ha più di 80 anni (il 79% in Lombardia), con una quota di ricoverati non autosufficienti pari al 78% (94% in Lombardia).

Si tratta quindi di strutture abitate in gran parte da persone fragili e non autonome, in quanto l’incremento dell’aspettativa di vita ha portato ad un aumento in queste strutture di soggetti molto anziani con forti necessità di cura sanitaria e assistenziale. 

Queste residenze assumono oggi le sembianze di una struttura sanitaria di lungodegenza: l’84% degli ospiti è in una struttura a media o alta intensità sanitaria, mentre il 36% è collocato in una struttura ad alta intensità sanitaria, caratterizzata da prestazioni erogate in nuclei specializzati a pazienti non autosufficienti richiedenti un supporto alle funzioni vitali.

In Italia, quindi, esiste un sistema molto ridotto rispetto agli altri paesi occidentali, e concentrato su prestazioni ad alto contenuto sanitario. Diversamente dagli altri paesi europei, la componente alberghiera e abitativa è quasi assente, e prevale quella di sostegno sanitario specializzato per lungodegenti. Come dimostrano gli avvenimenti degli ultimi mesi, però, queste strutture non sempre sono in grado di offrire garanzie sul piano sanitario e assistenziale. 

Tendenze e criticità

Nel periodo 2009-16, il numero dei ricoverati è diminuito complessivamente di 15.000 persone, pari al 5% del totale, con una riduzione molto forte in Lombardia (16%). Mentre in Italia la contrazione ha interessato soprattutto le persone autosufficienti, in Lombardia la contrazione ha riguardato anche i non autosufficienti. Nonostante un aumento della popolazione anziana, quindi, il sistema delle residenze ha conosciuto una decisa contrazione nel numero dei ricoverati. La contrazione dei ricoveri è coincisa con una focalizzazione delle residenze verso l’alta intensità sanitaria, con un conseguente aumento dei ricoverati in strutture ad elevata intensità e con età superiore ad 80 anni.

Da un lato emerge quindi una sanitarizzazione progressiva delle strutture, dall’altro si evidenzia una platea di ricoverati formata sempre più da soggetti anziani e fragili. 

Il combinarsi di queste due tendenze ha creato delle criticità sul piano gestionale e finanziario: l’aumento dell’intensità sanitaria ha infatti comportato un aumento progressivo

dei costi di gestione e di personale. Le strutture dovrebbero essersi infatti adattate a queste funzioni più specializzate investendo in termini di attrezzature sanitarie, e il personale dovrebbe richiedere livelli di qualificazione e di supervisione medica sempre più elevati.

Aumentando inoltre i ricoverati in condizioni di salute precarie, anche il costo pro-capite per utente è aumentato molto. 

All’aumento dei costi si contrappone un sistema di finanziamento farraginoso, perché i ricoveri in residenze a media-alta intensità sanitaria vengono coperti finanziariamente dal

SSN, tramite le Regioni, solo per una quota pari al 50%, mentre il restante costo deve essere coperto dall’utente. Le Regioni, inoltre, non hanno aumentato, nel corso degli anni, gli importi di remunerazione delle quote sanitarie, nonostante il progressivo aggravarsi delle condizioni di bisogno dei ricoverati. L’aumento dei costi è stato quindi scaricato sulle tariffe pagate dagli utenti, e di fatto, oggi la quota sanitaria è in molti casi inferiore al 50% previsto dalla legge. Le tariffe sono invece aumentate: in Lombardia, mentre la quota sanitaria è in media di 41,3 euro pro die, la quota pagata dagli utenti è variata in media, tra il 2013 e il 2016, da un minimo di 54-60 euro pro die ad un massimo di 63-69 euro, con un costo totale mensile a carico dell’utente intorno a 1.800-2.000 euro al mese. L’aumento delle tariffe è sintomo di problemi di sostenibilità finanziaria per i gestori delle strutture, costretti a far fronte all’aumento dei costi e al mancato adeguamento della quota sanitaria. Inoltre, una tendenza complementare all’aumento delle tariffe è stata la forte riduzione del

personale e del minutaggio assistenziale, oltre ai tagli sulla manutenzione delle strutture.

In Lombardia, secondo i dati ISTAT, nel periodo 2009-16 il personale retribuito delle

strutture è stato ridotto del 20%. Anche se a livello nazionale non si è assistito ad un taglio del personale la progressiva sanitarizzazione delle strutture è avvenuta contemporaneamente ad un netto taglio del personale medico, compensato da un aumento del personale adibito alla cura delle persone e alla stabilità del personale infermieristico. 

A fronte quindi dell’aumento dell’intensità sanitaria delle strutture e dell’aumento di ricoverati con grande bisogno di cura sanitaria e assistenziale, si è verificato il taglio del personale più specializzato e, almeno in Lombardia, anche dell’intensità assistenziale. Risulta evidente come la contrazione quantitativa del settore e la sua sanitarizzazione a fronte di una fragilità crescente dei ricoverati siano coincise con una riduzione complessiva della qualità

dell’assistenza fornita. Motivazione principale di ciò è il mancato investimento di risorse a carico del SSN in questo settore, a fronte di strutture che svolgono funzioni essenziali di assistenza sanitaria.

Privatizzazione del settore

Negli ultimi anni si è verificata una tendenza a ridurre la quota delle strutture pubbliche con una riduzione, tra il 2009 e il 2016, pari al 23% dei posti letto. Una buona parte di questi posti letto sono stati recuperati dalle strutture private.

È quindi avvenuto un rapido processo di privatizzazione del settore, le cui ragioni sono da ricercare in una presunta maggiore efficienza gestionale e nell’opportunità di ridurre i costi delle strutture. La privatizzazione consente infatti una riduzione dei costi perché al

personale vengono applicati contratti di lavoro meno onerosi e meno tutelati rispetto quelli applicati dagli enti pubblici. Nell’ambito delle strutture residenziali si è quindi formato un mercato in cui i mancati investimenti delle politiche pubbliche si ripercuotono sull’incremento

delle rette e su una tendenza alla riduzione dei costi, inclusa la compressione del personale, che si traduce in un decremento della qualità assistenziale.

Conclusioni

Nonostante non sia possibile sapere con certezza se queste tendenze abbiano svolto un ruolo decisivo nel co-determinare la forte diffusione del virus e l’elevato numero di decessi in queste strutture, si può comunque affermare che le condizioni strutturali del sistema non hanno favorito l’applicazione di standard qualitativi adeguati alla tutela di persone versanti in condizioni di elevata fragilità, così come degli operatori occupati all’interno delle residenze. Il mancato investimento politico e amministrativo in queste strutture ha determinato un sistema molto contratto, con standard sanitari e assistenziali bassi e in via di ulteriore deterioramento. Appare quindi evidente la necessità di ripensare questo sistema, in modo che possa affrontare in maniera adeguata anche le problematiche scatenate dai recenti eventi.

 

Fonte: Marco Arlotti e Costanzo Ranci, Laboratorio di Politiche Sociali, Politecnico di Milano, Un’emergenza nell’emergenza: cos’è successo alle case di riposo del nostro paese?

 

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