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Il ruolo di EFCI nelle politiche europee

A colloquio con Matteo Matarazzo, Direttore Generale EFCI, European Cleaning and Facility Services Industry, che a Bruxelles ha il compito di portare avanti le esigenze e le istanze del mondo aziendale del cleaning e del Facility management

Intervista a Matteo Matarazzo Direttore Generale EFCI, European Cleaning and Facility Services Industry, che a Bruxelles svolge il delicato e impegnativo compito di curare la Direzione generale della Federazione, alla quale fanno riferimento le principali aziende dell’industria dei Paesi del Vecchio Continente. Con il suo contributo tracciamo una panoramica delle principali problematiche che investono un mondo in rapida transizione, chiamato ad affrontare già al presente tematiche complesse quali il post-pandemia, la “svolta” green, la crisi energetica, l’innovazione.

Da circa un anno la presidenza è stata assunta da Lorenzo Mattioli ( presidente ANIP e Federazione Confindustria). Quali obiettivi e impegni prioritari sono stati intrapresi e portati avanti e con che risultati? Qual è il bilancio di questo primo anno al vertice da parte di un presidente italiano?

Con la pandemia, il nostro lavoro – quello degli addetti e degli imprenditori che li impiegano – è uscito dalla condizione di invisibilità in cui ha sempre vissuto; occorre adesso che a tale accresciuta consapevolezza sociale si accompagni la considerazione da parte della politica e delle istituzioni. Il programma del Presidente Mattioli si concentra proprio su questo aspetto – rendere al nostro settore l’attenzione e la considerazione che merita da parte della politica europea – attraverso tre assi principali: migliorare le condizioni di mercato per le nostre imprese tramite una revisione delle disposizioni sugli appalti pubblici, rinforzare l’attrattività del settore lavorando, tra gli altri, sul tema delle competenze e infine accompagnare le trasformazioni in atto nel mondo del cleaning – in termini tecnologici e di sostenibilità ambientale – facilitando l’innovazione (come ad esempio nel caso del daytime cleaning) senza tralasciare la tutela della competitività. E credo proprio che si possa riconoscere il successo – in termini di accresciuta visibilità – di questo lavoro, che ha portato EFCI a stabilire forti legami con il mondo della politica e ad essere presente in molteplici contesti istituzionali – in particolar modo, rispetto al tema degli appalti pubblici.

La riforma degli appalti o il salario minimo, argomento assai dibattuto e controverso anche in Italia, sono alcune delle principali tematiche sul tappeto…

Gli appalti pubblici sono uno dei temi centrali del nostro programma per i prossimi mesi, e fino alle elezioni europee. Occorre lavorare seriamente in primo luogo per modificare la concezione, purtroppo molto diffusa anche a livello istituzionale, dell’appalto pubblico come unicamente riferito all’acquisto di beni o alla realizzazione di opere pubbliche. Nello specifico poi, bisogna intervenire sulla normativa europea – che è una normativa “quadro”, che fissa cioè alcune disposizioni di cornice entro le quali gli Stati mantengono una notevole autonomia decisionale – per eliminare “a monte” alcune disposizioni più perniciose, per esempio relative al divieto di revisione dei prezzi. Infine, è indispensabile operare per aumentare la professionalità delle procedure di appalto, creando una nuova “coscienza” presso gli addetti delle amministrazioni pubbliche. La normativa europea attualmente in vigore è riassunta dalle direttive del 2014, elaborate in un contesto produttivo profondamente diverso dall’attuale, di bassa inflazione; dopo 10 anni, siamo fiduciosi che sapremo toccare i tasti giusti perché la politica europea capisca e condivida le nostre esigenze. Il tema del salario minimo ha occupato l’agenda sociale europea degli ultimi tre anni, creando – da una parte e dall’altra – aspettative esagerate e preoccupazioni ingiustificate. Trattandosi di una direttiva, ciascun Paese è chiamato a trovare le modalità più opportune – e compatibili con il proprio sistema di relazioni industriali – per introdurne le disposizioni che, è bene ribadirlo, non fissano un livello minimo valido per tutta Europa e non impongono di ricorrere ad una legge – per attuare la direttiva entro novembre 2024. Qui a Bruxelles la questione del salario minimo in sé non è più di scottante attualità come in Italia; il tema viene invece evocato nell’ambito delle discussioni – sempre più frequenti all’avvicinarsi delle elezioni europee – su quale dovrà essere l’approccio della prossima Commissione europea in ambito di politiche sociali e occupazionali.

Quanto è sentito in ambito europeo il valore economico e sociale del settore della pulizia professionale?

Se si riferisce all’ambito istituzionale e della comunità imprenditoriale con i quali ci interfacciamo regolarmente, purtroppo non come vorremmo, e come il nostro lavoro meriterebbe. Nei nostri incontri con eurodeputati di tutte le famiglie politiche abbiamo potuto toccare con mano come al riconoscimento dell’importanza del nostro settore non corrispondesse un’effettiva conoscenza della realtà del settore – del suo crescente livello di professionalità e specializzazione tecnologica, per esempio – ma piuttosto il perdurare di alcune concezioni sorpassate e limitate relative al nostro lavoro. Il nostro lavoro a Bruxelles è dunque ancora più necessario.

Tra le varie iniziative intraprese da EFCI, ricordiamo il successo dell’incontro sulle pratiche di daytime cleaning in Europa: quali sono le principali direttrici di cambiamento del settore, emerse dal confronto in ambito europeo?

Sono decisamente molto soddisfatto per la riuscita del nostro evento, che ci ha permesso – per la prima volta – di portare all’attenzione di un pubblico più ampio dei soliti “addetti ai lavori” un tema così importante per noi, e dalla prospettiva imprenditoriale. Indiscutibilmente, il lavoro diurno rappresenta una delle “dimensioni” di cui si comporrà domani il nostro modo di lavorare – e in alcuni Paesi già anche il nostro oggi; i vantaggi in termini ambientali, sociali, di miglioramento delle condizioni di lavoro sono davanti agli occhi di tutti. Ma sarebbe controproducente concludere che tale modello organizzativo, in virtù degli aspetti positivi che comporta, debba diventare la norma ed essere dunque “elevato” obbligatoriamente a unica modalità organizzativa possibile. È nostro compito sensibilizzare tutte le parti, inclusi i nostri clienti, sull’opportunità di passare al modello di lavoro diurno, assistendole nel momento in cui tale scelta viene effettuata; ma è indispensabile che questa rimanga per l’appunto una scelta, frutto della libera volontà contrattuale.

Maurizio Pedrini

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