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Materie prime ed energia: Europa schiava della Cina?

Nei primi mesi del 2023 la Commissione europea ha avanzato una proposta di regolamento per le MPC fissando degli obiettivi per ridurre la dipendenza europea dall’estero, che appaiono difficilmente perseguibili entro il 2030. L’Europa sconta gravi ritardi su tutti i fronti.

Su queste complesse ed interessanti tematiche abbiamo raccolto il parere del dottor Alberto Claudio Tremolada, tra i massimi e più autorevoli esperti del settore in ambito italiano ed europeo.

Dottor Tremolada, possiamo fare il punto della situazione?

“L’UE sconta un pesante ritardo su tutti i fronti. Purtroppo per decenni si sono ignorate le criticità conosciute di approvvigionamento da oligopolio di Paesi quali Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Congo, India, Indonesia, Myanmar, Perù, Russia, Turchia, Stati Uniti, preferendo concentrarsi sulla produzione, l’importante era avere disponibilità di materie prime critiche a basso costo. Il Covid, la guerra tra Russia e Ucraina, il conflitto a Gaza e la crisi del Golfo Persico hanno messo tragicamente in evidenza la conseguenze di questa situazione: la dipendenza porta all’aumento esponenziale dei prezzi, a guerre commerciali fra Paesi e società utilizzatrici, shortage, utilizzo come martello politico da parte dei Paesi detentori risorse e molto altro. La transizione energetica e la mobilità elettrica porteranno inevitabilmente all’esplosione dei consumi di materie prime critiche dalle 4 alle 10 volte, tali le criticità non faranno che acuirsi. Sinceramente è solo una chimera pensare un’Europa indipendente per sotto-capacità estrattiva (mining) sia per progetti partiti solo di recente per i secondary materials (recycling), necessitano decine di miliardi di euro e anni dalla prospezione geologica per essere a regime. 

Esistono dei Paesi che fungono da oligopoli detentori di materie prime nonché di energia: l’Europa è destinata a restare in una condizione di sudditanza. Quale strada potrebbe portarci ad una maggiore indipendenza?

“Ci sono diversi rischi sistemici. Il primo è l’ammontare globale dei derivati (che potrebbe impattare direttamente anche sulle materie prime). Per la BIS Bank for International Settlements il valore totale nazionale di derivati nel mondo (riferito a contratti e considerando la leva finanziaria utilizzata) è di oltre 600.000 miliardi di dollari. Istituita nel 1930, la BIS è di proprietà di 63 banche centrali di tutto il mondo che insieme rappresentano circa il 95% del PIL mondiale. Una bomba finanziaria a tempo enorme superiore ai debiti totali dei singoli paesi: si prevede che il debito pubblico globale del 2023 raggiungerà oltre 97.000 miliardi di dollari. Il secondo sono le riserve naturali di materie prime (anche terre rare) che si trovano in un numero limitato di paesi (Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Congo, Indonesia, Myanmar, Perù, Russia, Stati Uniti, Vietnam). Per esempio la Cina controlla oltre il 90% dell’offerta globale e quasi il 40% delle riserve di terre rare.

La Cina, dunque, super potenza egemone di cui l’Europa rischia di divenire inesorabilmente schiava?

“I dati in nostro possesso parlano chiaro. Secondo un rapporto della Brookings Institution del 2022, la Cina raffina il 68% di tutto il nichel a livello globale, il 40% del rame, il 59% del litio e il 73% del cobalto. La Cina rappresenta anche la maggior parte della produzione globale di componenti ricchi di minerali per batterie. Più significativamente, la Cina detiene il 78% della capacità mondiale di produzione di celle per le batterie dei veicoli elettrici. Simon Micheaux Associate Professor at Geological Survey of Finland ha calcolato l’intero volume di metalli necessari per produrre pannelli solari, parchi eolici e veicoli elettrici per il mix energetico previsto. Ovvero il volume di materie prime necessarie per sostituire completamente la dipendenza dai combustibili fossili con le energie rinnovabili. Secondo la sua ricerca, il ciclo di vita delle infrastrutture energia rinnovabile hanno una durata di circa 15-20 anni, terminati i quali dovremo ricominciare a produrre di nuovo le infrastrutture. Sulla base dell’attuale produzione annuale, gli studi peer reviewed di Micheaux indicano che avremo bisogno di: 9.920 anni di produzione di litio; 1.733 anni di produzione di cobalto; 3.287 anni di produzione di grafite; 189 anni di produzione di rame; 400 anni di produzione di nichel, tutto condensato in 20-30 anni. Ma come evidenziano i dati di Micheaux, il nocciolo del problema è che non abbiamo il metallo da mining per il net zero. Utilizzando i dati dell’US Geological Survey, Micheaux ha scoperto che le riserve globali di rame saranno inferiori dell’80%, le riserve globali di nichel del 90% e il cobalto di circa il 96%. In poche parole, di tutto il cobalto che conosciamo esistente oggi, se dovessimo estrarlo tutto, avremmo solo il 4% del cobalto necessario per raggiungere lo zero netto. Evidenzia un grossolano errore di calcolo da parte dei leader politici nella loro ipotesi che le energie rinnovabili avrebbero naturalmente recuperato il ritardo dal calo della produzione di petrolio e gas. La fine dell’era dell’abbondanza delle civiltà si avvicina rapidamente.

Più in generale, a suo parere, cosa potrebbero fare le aziende italiane per affrontare meglio le problematiche dell’accesso alle fonti energetiche e alle materie prime? Ha qualche suggerimento da dare?

“Una ‘ricetta’ valida per tutti non esiste, ogni singola realtà anche se dello stesso settore, ha necessità differenti di approvvigionamento diretto e indiretto (come parte di beni e servizi) per tipologia e quantità materiali. Allo stesso modo cambia la criticità di approvvigionamento per singola realtà. A mio parere bisogna partire da alcuni driver per comprendere meglio il proprio posizionamento rispetto le criticità: valutazione Paesi di provenienza delle materie prime utilizzate; percentuale di dipendenza dal singolo Paese (somma materiale estratto – raffinato e commercializzato), società minerarie che detengono concessioni di estrazione e se a partecipazione statale; consumo mondiale previsto e riserve presunte materie prime utilizzate; rischi ambientali, geologici, politici, sociali che possono impattare sulla quantità necessaria di materie prime utilizzate; regulatories dei singoli Paesi; alternative ai materiali utilizzati; riduzione uso materiali più critici per i propri approvvigionamenti. Sono alcuni driver che sarebbe opportuno considerare in una strategia di antifragilità e business continuity aziendale. Non approfondisco esempi o entro nel dettaglio (che potrei fare) perché l’analisi si deve calare sulle singole realtà”.

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